150 anni di eccellenza “made in Italy”
Comunicati Stampa 06 Luglio 2011Economia italiana salvata dall’export, ma troppe pmi sono orientate su produzioni a bassa intensita’ tecnologica e troppe imprese familiari non si aprono a una gestione manageriale
Nei primi 4 mesi del 2011 le nostre esportazioni sono cresciute del +16,9%, ma il nostro potenziale di crescita è ben più ampio, dobbiamo aumentare la quota di grandi imprese (se l’Italia avesse avuto la stessa distribuzione settoriale e dimensionale della Germania il valore delle nostre esportazioni sarebbe potuto crescere di un terzo) e sostenere le piccole imprese con un sistema-paese all’altezza degli altri Paesi europei.
E’ quanto emerso al X Forum Annuale del Comitato Leonardo, presieduto da Luisa Todini, dal titolo: “150 anni di eccellenza Made in Italy”
Roma 6/7/2011 – In 150 anni l’Italia ha registrato una crescita superiore rispetto a quella degli altri grandi Paesi, grazie anche all’export che rimane ancora oggi il traino della ripresa, con una crescita nei primi quattro mesi del 2011 del +16,9% (+21,6% nei soli Paesi extra-Ue). Nonostante questo, le imprese italiane restano troppo piccole e individualistiche per garantire un rilancio duraturo e stabile della nostra economia. La nuova sfida da affrontare nei prossimi anni è da un lato quella di aiutare le piccole imprese a fare sistema e dall’altro far crescere le medie. Sono questi alcuni degli spunti emersi dall’indagine realizzata dalla Fondazione Manlio Masi e dall’Università di Siena per il Comitato Leonardo (l’organismo presieduto da Luisa Todini fondato insieme a Confindustria e ICE) e presentati in Campidoglio per il X Forum Annuale dal titolo “150 anni di eccellenza Made in Italy”.
Se dal 1861 ad oggi la durata media della vita degli italiani è passata da 33 a 81 anni, è stato anche per merito di una crescita economica trainata con forza dall’esportazione di prodotti Made in Italy, che già nel 2010 è cresciuta del +16%. Dati incoraggianti, che contrastano però con una crescita che in Germania e negli altri Paesi emergenti è ormai superiore.
“Specializzazione produttiva in settori poco innovativi e ridotta dimensione media delle imprese – spiega Luisa Todini, Presidente del Comitato Leonardo – sono i fattori che caratterizzano la nostra economia. Negli ultimi decenni c’è stato un ridimensionamento della grande impresa a fronte di un consolidamento del modello produttivo incentrato sulla piccola e media impresa. La dimensione media di una nostra azienda manifatturiera è di 9,6 addetti, contro i 16 degli altri Paesi UE o i 36,3 della Germania. Questa struttura produttiva incide sulle esportazioni, dove le grandi imprese italiane pesano per il 48% del totale contro il 71% della Francia, il 79% della Germania e l’87% degli USA. Se l’Italia, come indicato dallo studio della Fondazione Manlio Masi e dell’Università di Siena, avesse la stessa distribuzione settoriale e dimensionale della Germania il valore delle nostre esportazioni potrebbe crescere di un terzo, prevalentemente come conseguenza del fatto che la capacità di esportazione è direttamente correlata con la dimensione di impresa.La sfida che ci aspetta è duplice: da un lato – conclude Luisa Todini – dobbiamo sostenere la piccola impresa, che è simbolo e forza del nostro Paese, con una politica industriale che favorisca qualità, innovazione e reti di aggregazione, dall’altro aiutare le medie aziende a crescere ulteriormente”.
La fotografia scattata dalla Fondazione Manlio Masi e dall’Università di Siena e presentata da Beniamino Quintieri rende l’immagine di un’Italia che in 150 anni si è confrontata con una povertà di materie prime, che ha portato ad un deficit strutturale della bilancia commerciale. Un Paese forte di un tessuto di PMI (le “multinazionali tascabili”) che tutti ci invidiano, ma che fa da contraltare a un numero limitato di grandi imprese, il che riduce la capacità di esportazione. Troppe delle nostre PMI, infatti, restano orientate su produzioni a medio-bassa intensità tecnologica e troppe realtà familiari faticano ad aprirsi a una gestione manageriale.
Se le piccole imprese italiane, con i distretti e le reti, restano ancora oggi un patrimonio da tutelare e rafforzare, perché fanno parte della nostra cultura e know-how, è necessario aiutarle a specializzarsi nei beni e servizi innovativi. Di contro, le imprese medie e medio-grandi vanno sostenute e incentivate a crescere per raggiungere la frontiera tecnologica e le economie di scala necessarie a competere a livello globale.
“Molte aziende sono costrette sempre più spesso a esternalizzare, fuori dall’azienda o fuori dai confini del Paese, alcune fasi della catena del valore. Quasi tutto – spiega Luisa Todini – rimane delegabile, tranne l’insieme di organizzazione, cultura aziendale e vision che rende un’impresa un unicum diverso dalle altre. Se l’Italia riuscirà ad attrarre grandi gruppi (come nel caso di Lactalis o Zoomlion o Sharp) che investiranno o svilupperanno iniziative produttive sul nostro territorio, ci saranno conseguenze positive in termini di indotto e occupazione. Noi imprenditori dobbiamo investire in qualità e innovazione, aprendoci al mercato in modo trasparente (ad es. con la quotazione in borsa). Per riuscirci ci servono riforme che snelliscano la burocrazia, che garantiscano un fisco incentivante e non opprimente, che portino a mercati liberalizzati e a infrastrutture utili e sostenibili”.
Secondo lo studio della Fondazione Manlio Masi, specializzazione produttiva poco orientata verso i settori tradizionali, una non adeguata capacità innovativa e piccola dimensione delle imprese sono i tre fattori che caratterizzano l’economia italiana rispetto agli altri paesi industrializzati. Se una parte della piccola, e soprattutto della media impresa italiana, ha recentemente mostrato un notevole dinamismo e una buona capacità di adeguarsi alle mutazioni dello scenario economico internazionale, la dimensione medio-piccola costituisce ancora oggi potenzialmente un freno alle esportazioni e alla crescita.
Le sfide dei prossimi anni per il rilancio della nostra economia passano per l’incremento degli investimenti in capitale umano, con l’obiettivo di migliorare la capacità innovativa del paese; per il superamento del problema dimensionale della nostra industria manifatturiera, favorendo fusioni e acquisizioni, un maggiore ricorso a quotazioni in borsa e forme di cooperazione favorite dalla costituzione di reti d’imprese; dal miglioramento della competitività di “sistema”, attraverso la modernizzazione del sistema infrastrutturale (energia, trasporti e telecomunicazioni), l’efficienza dei servizi e della Pubblica Amministrazione, l’insieme delle politiche volte a favore dell’internazionalizzazione.
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